Testa di Moro

Colorati, profumati, eleganti … i fiori hanno mille significati nascosti, si pensi alla gioia e all’allegria tipica del girasole, all’amore che si cela dietro un bouquet di rose, alla semplicità della margherita.

C’è chi ama circondarsi di fiori, chi aspetta con ansia la primavera per esporre sul proprio balcone vasi fioriti, e anche la scelta di questi ultimi, che fungono da contenitore, non viene lasciata al caso! Oggi è proprio di essi che voglio parlarvi, più precisamente delle teste di Moro, i tipici vasi della tradizione siciliana che nascondono una singolare leggenda.

Scopriamola insieme!

Le teste di Moro sono vasi in ceramica dipinti accuratamente a mano, solitamente realizzati in coppia, che rappresentano rispettivamente un volto di donna e uno di uomo, un Moro appunto, e che ancora oggi vengono utilizzate per decorare i balconi, come da tradizione, o anche come semplici complementi d’arredo adatti agli ambienti più classici ma al tempo stesso a quelli moderni.

La leggenda che si cela dietro la loro origine è davvero suggestiva e risale all’epoca della dominazione dei Mori in Sicilia. Si narra che, in quegli anni, nella città di Palermo, precisamente nel quartiere Kalsa, viveva una giovane donna, bellissima, che fece perdere la testa ad un soldato arabo. La ragazza ricambiò il suo amore ma non poteva immaginare che l’uomo fosse già sposato e avesse anche dei figli che lo aspettavano in Oriente, dove presto avrebbe fatto ritorno. Quando la bella siciliana scoprì il segreto dell’uomo si sentì, ovviamente, tradita e accecata dalla rabbia decise di vendicarsi nel peggiore dei modi. Dopo l’ultima notte passata insieme, mentre il Moro si era ormai abbandonato tra le braccia di Morfeo, lo colpì mortalmente, e poiché il volto di quell’uomo, nonostante tutto, continuava ad affascinarla decise che sarebbe stato suo per sempre, come? Gli tagliò la testa con cui diede vita ad una sorta di vaso che espose sul suo balcone e al cui interno piantò del basilico che crebbe talmente tanto da suscitare l’invidia di tutti gli abitanti della città. Fu così che, da quel giorno, in molti decisero di costruire dei vasi a forma di testa di Moro.

Chi poteva immaginare che dietro a quei vasi dai colori brillanti si celasse una simile storia?!

Camille Claudel e la libertà negata

Camille Claudel, L’Âge Mûr, Musée Rodin

Ah l’amour, l’amour…

Il mondo dell’arte è pieno di storie d’amore, storie di amore a prima vista come quella di Claude Monet e Camille, storie contrastate come per Vincent Van Gogh e Sienne, amori che sono durati tutta la vita come quello tra Marc Chagall e Bella ma anche amori folli come quello di Frida Kahlo e Diego Rivera o leggendari come quello tra Yōko Ono e John Lennon, e potremmo elencarne ancora molti.

Molto spesso le donne amate erano le stesse muse degli artisti come nel caso di Auguste Rodin e Camille Claudel, protagonisti del racconto di oggi.

Era il 1883 quando l’artista francese entrò nell’atelier parigino, in cui era stato chiamato dall’amico Boucher per sostituirlo nel corso di scultura, e rimase subito affascinato da Camille, la giovane dai lineamenti dolci e dal forte temperamento che ben presto divenne la sua musa e… la sua amante.

Camille già prima di conoscere Rodin era una grande artista, una donna la cui infanzia fu segnata da un rapporto complicato con la madre,  che aveva trovato rifugio nella scultura e, più tardi, anche fra le braccia di quest’uomo molto più grande di lei che la faceva sentire amata e protetta e, al tempo stesso, apprezzava la sua arte, egli infatti affermava:  “Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che trova è tutto suo”.

Così la giovane scultrice, da allieva, musa, amante, diviene collaboratrice del padre del celebre Pensatore, e  non era una cosa così scontata per una donna se si considera che affermarsi come artiste era davvero difficile in un mondo in cui la donna non poteva che essere moglie e madre, in un mondo in cui le donne non venivano quasi mai premiate e non erano accettate nella maggior parte dei Salon,  eppure Camille, grazie al suo forte temperamento, ce l’aveva in parte fatta.

Purtroppo la vita ti riserva sorprese inaspettate e l’affermarsi come artista e l’aver trovato nel suo “maestro” l’uomo della sua vita fu solo una breve parentesi rosa. Rodin, amava Camille, ma non solo lei! Egli, infatti, faceva coppia fissa con Rose Beuret, donna che non lascerà mai e che poi sposerà nel 1917.

A questo “triangolo amoroso” probabilmente si rifà anche una delle sue  opere intitolata L’Âge Mûr composta da tre figure: una giovane donna in ginocchio che tende le mani verso quella dell’uomo, più anziano, che non l’afferra, anzi l’ha appena lasciata per farsi trascinare via dall’abbraccio di una seconda donna.

Camille era consapevole di non poter essere l’unica per Rodin, se ne illuse per molti anni ma ad un certo punto dovette fare i conti con la realtà. Alla tristezza di un amore tutt’altro che a lieto fine si aggiunse anche il perdurare della totale anaffettività di una madre che arrivò addirittura a farla rinchiudere  nel manicomio di Montfavet nel marzo 1913, subito dopo la morte del padre che era il suo unico sostenitore, dove passò molti anni della sua vita nonostante i medici non riconoscessero in lei particolari disagi psichici, anzi erano convinti che tornare a vivere in famiglia avrebbe fatto solo bene alla giovane, ma questo non avvenne mai. Camille morì dopo ben 30 anni di reclusione, nel 1943, e al suo funerale non si presentò nessuno.

Questa che avete appena letto è, dunque, la storia di una donna che chiedeva solo di essere libera, nel senso più puro del termine, libera di esprimersi, libera di amare, libera di essere amata, ma che si è vista privata della libertà proprio da colei che già per sola natura avrebbe dovuto amarla incondizionatamente: la madre!