Primavera

Sandro Botticelli, La Primavera, 1480 c. Firenze, Galleria degli Uffizi

“Giunt’è la Primavera e festosetti

La Salutan gl’Augei con lieto canto,

E i fonti allo Spirar de’ Zeffiretti

Con dolce mormorio Scorrono intanto:

Vengon’ coprendo  l’aer di nero amanto

E Lampi, e tuoni ad annutiarla eletti

Indi tacendo questi, gl’Augelletti

Tornan’ di nuovo al lor canoro incanto:

E quindi sul fiorito ameno prato

Al caro mormorio di fronde e piante

Dorme ‘l Caprar col fido can’à lato.

Di pastoral Zampogna al suon festante

Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato

Di primavera all’apparir brillante.

Questo che avete appena letto è il sonetto che accompagna il primo dei concerti delle Quattro Stagioni di Vivaldi, la Primavera.

Non sappiamo con certezza chi sia l’autore dei quattro sonetti che accompagnano le Stagioni, alcuni, infatti, ritengono siano di “autore ignoto” mentre altri credono che siano stati scritti dallo stesso Vivaldi, ad ogni modo traducono in parole quello che il compositore ha espresso in note. Nello specifico nella Primavera vengono descritti tre momenti della stagione: il primo vede protagonista il canto degli uccelli,  il secondo il pastore che riposa con il suo cane e, infine, si giunge alla danza delle Ninfe.

Le note si susseguono così in un crescendo di emozioni trasportandoci nel loro mondo ma, al tempo stesso, lasciandoci liberi di correre con la nostra fantasia e di trasformare in immagini i suoni.

Ma parlando di immagini e soprattutto della stagione simbolo della rinascita, non possiamo non pensare al dipinto realizzato con tempera grassa su tavola, all’incirca nel 1480, da Sandro Botticelli e oggi conservato a Firenze nella Galleria degli Uffizi.

La Primavera, capolavoro del Rinascimento italiano, va letta da destra verso sinistra: Zefiro, vento fecondatore della natura, insegue Flora e dalla loro unione nasce appunto Primavera che è avvolta in un vestito floreale ed elegantemente avanza spargendo fiori.

Sandro Botticelli, La Primavera, dettaglio

Al centro della composizione troviamo Venere, dea della bellezza e dell’amore, e alzando lo sguardo notiamo Eros, simbolo dell’amore cieco e per questo bendato, pronto a scoccare una delle sue frecce.

Sandro Botticelli, La Primavera, dettaglio

Infine, sulla sinistra, le tre Grazie, tenendosi per mano come nella carola, antico ballo medievale, danzano armoniosamente, mentre Mercurio scaccia le nuvole con il suo caduceo, simbolo di prosperità e di pace.

Sandro Botticelli, La Primavera, dettaglio

La scena si svolge in un aranceto e i personaggi mitologici posano i loro piedi scalzi su un prato pieno di fiori che il Botticelli realizza in modo davvero minuzioso servendosi probabilmente anche di erbari. Ad oggi, in questo capolavoro, sono state individuate all’incirca 138 specie di piante diverse.

Il vero significato della composizione è ancora oggi un mistero ma, nonostante ciò, possiamo interpretarla come una celebrazione dell’amore, della pace e della prosperità.

I Simpson e Banksy

Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie … di chi stiamo parlando? Ovviamente della famiglia Simpson.

Serie animata nata nel 1987, come parodia della società e dello stile di vita statunitense, dalla fantasia del fumettista Matt Groening, ha raggiunto un successo planetario debuttando in prima TV il 17 dicembre 1989.

Ognuno di voi avrà visto almeno una puntata della serie o, comunque, anche ai meno appassionati sarà capitato di vedere qualche scena (che sia in TV o sul web poco importa), e sicuramente avrete ben presente anche la sigla. Oggi è proprio su quest’ultima che voglio porre l’attenzione.

Il tema strumentale venne composto da Danny Elfman nel 1989 e già nel 1990 venne nominato agli Emmy nella categoria “Miglior tema musicale”. Esso è il sottofondo che accompagna le scene iniziali che sono un po’ un riassunto della quotidianità della famosa famiglia gialla: Bart a scuola che scrive sulla lavagna, Homer impiegato nel suo lavoro durante il quale non manca di commettere errori, Marge che porta con sé al supermercato la piccola Maggie che per sbaglio viene “passata in cassa” come un prodotto qualsiasi, Lisa impegnata nelle sue lezioni di musica, fino ad arrivare all’ultima scena: quella del divano.

Queste scene precedono ognuna delle puntate della serie, ormai chi non ha mai perso un episodio le conosce davvero a memoria, è per questo che coloro che erano magari seduti sul loro divano in attesa della terza puntata della ventiduesima stagione, avranno notato alcune stranezze già a partire dal primo mezzo minuto della sequenza di apertura: cosa ci fa il nome “Banksy” spruzzato sul cartellone di Krusty il Clown? E sul muro della scuola? Non è certo casuale.

È proprio l’artista di Bristol, colui che è stato definito anche il “Robin Hood della Street Art”, ad essere stato l’ideatore dello storyboard della sigla dell’episodio “MoneyBart”. Ovviamente l’intervento dell’artista non lo si coglie solo nella “firma” sul cartellone pubblicitario e sul muro, infatti, ad esempio, la frase scritta da Bart alla lavagna recita: “I must not write all over the walls” e risulta, dunque, essere un chiaro riferimento all’attività dello street artist. Ma l’intervento vero e proprio di Banksy si ha nelle immagini che seguono la famosa scena in cui i componenti della famiglia Simpson si ritrovano tutti riuniti di fronte alla TV. Il tono diventa più cupo, le immagini più scure, siamo in un sotterraneo in cui decine di disegnatrici sono impegnate a produrre in serie le immagini della nota famiglia di Springfield che poi vengono intinte in un acido verdognolo da un bimbo scalzo che inevitabilmente diventa il simbolo dello sfruttamento del lavoro minorile. Ma le donne e il bambino non sono gli unici a lavorare in condizioni disumane e privi di ogni sistema di sicurezza. Scale in legno, semplicemente accostate a pareti rocciose, conducono ai piani inferiori, in grotte in cui vengono realizzate T-shirt a tema Simpson, dvd il cui foro viene realizzato servendosi del corno di uno stremato unicorno, e Bart in versione pupazzo per il cui riempimento viene utilizzato il pelo di gattini prelevati ancora vivi da numerose gabbie e tritati per lo scopo. L’ambiente circostante è reso ancora più tetro dagli scheletri umani, posti negli angoli, che possiamo interpretare come simboli della morte dovuta a condizioni di vita precarie.

Sono evidenti le tematiche affrontate: dallo sfruttamento dei lavoratori (compresi i bambini) a quello degli animali, fino a giungere alla non salvaguardia delle specie protette ravvisabile ad esempio nel panda che traina un carretto o nella testa mozzata di un delfino la cui lingua viene utilizzata per chiudere gli scatoloni.

Inoltre i lavoratori sono tutti asiatici e questo pare non sia un caso ma, probabilmente, un’esplicita critica alla decisione della Fox di esternalizzare parte della produzione in Sud Corea.

Inutile dire che l’intervento di Banksy è stato anche molto criticato. Dopotutto o lo si ama o lo si odia!

Il Cristo contadino

Donatello, Crocifisso. Firenze, Santa Croce

Oggi è Venerdì Santo, giorno in cui i cristiani commemorano la Passione di Gesù Cristo il quale, secondo la fede, dopo essere stato giudicato venne crocifisso. A tal proposito voglio raccontarvi un aneddoto, quello del “Cristo contadino”.

Conoscete Giorgio Vasari?

Pittore, architetto e scrittore il cui nome rimane per lo più legato alle committenze pubbliche dei Medici a Firenze, tra cui gli Uffizi, e alla raccolta “Le Vite”, prima opera moderna di storiografia artistica edita per la prima volta nel 1550 e la cui seconda edizione risale al 1568.

L’aneddoto di cui parliamo oggi lo si ritrova nella Vita di Filippo Brunelleschi e vede come protagonisti quest’ultimo e Donatello. Il Vasari riferisce che Donatello aveva scolpito un crocifisso ligneo e lo aveva mostrato all’amico per averne un parere ma, contrariamente a quanto si aspettasse, Brunelleschi lo criticò affermando che “gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino, e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo ed in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse giammai.”

Ovviamente Donatello non poteva che esserne risentito, tanto che pare rispose:

“Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo, e non un contadino; però piglia del legno, e pruova a fare uno ancor tu.”

Brunelleschi non rispose, piuttosto decise di cogliere l’invito e, quindi, rispondere con i fatti. Tornato a casa scolpì un crocifisso, senza però dir nulla a nessuno, fin quando non lo terminò ed invitò Donatello a casa sua per pranzare insieme. Il Vasari racconta che Filippo comprò alcune cose per pranzo, le diede a Donatello e gli disse di avviarsi a casa e di aspettarlo lì. Appena Donatello giunse a casa dell’amico e notò l’opera, restò talmente meravigliato che lasciò cadere dal suo grembiule il cibo che portava, “l’uova, il formaggio e l’altre robe tutte”. A quel punto disse a Brunelleschi, che nel frattempo lo aveva raggiunto, “a te è conceduto fare i Cristi ed a me i contadini”.

In realtà sono in molti a dubitare della veridicità dell’aneddoto, alcuni, infatti, ritengono che i due Crocifissi non appartengano agli stessi anni. A prescindere da tutto ciò possiamo mettere a confronto le due opere e coglierne le differenze.

Il Crocifisso donatelliano, che potete ammirare in Santa Croce a Firenze, mostra nel corpo le sofferenze patite, non solo quelle fisiche legate alla Passione, ma quelle di un’intera vita, una vita condotta da uomo in mezzo agli altri uomini. Donatello, dunque, realizza un Crocifisso “realistico”, il corpo di Cristo è quello di un uomo che avendo sofferto, essendo stato picchiato e umiliato, non può presentarsi come un corpo perfetto, privato dei segni inevitabili di questa sofferenza, differentemente dal Crocifisso brunelleschiano che possiamo, invece, ammirare in Santa Maria Novella a Firenze, che presenta un corpo dai tratti più idealizzati.

Voi quale dei due preferite?

Salvato dal feltro

Andy Warhol, Beuys by Warhol, 1980, acrilico e serigrafia su tela. Foto scattata a Gennaio 2019 presso il Museo Madre, Napoli.

Avete presente il feltro? C’è chi lo considera un tessuto, chi invece dice che tessuto non è, quindi noi per non sbagliare ci affidiamo alle parole di Treccani e diciamo che il feltro è una “falda compatta, dello spessore di qualche millimetro, costituita da fibre di lana con o senza peli animali, o da rigenerati di lana o di cotone, fabbricata senza filatura, orditura o tessitura.”

Ma per che cosa si usa? È in realtà un materiale molto versatile. Oltre ad essere un materiale antico usato  già dai Greci e dai Romani per realizzare copricapo, abiti o mantelli, è, al tempo stesso, molto attuale tanto che viene utilizzato ancora oggi  da artigiani e designer e, magari, qualcuno di voi, più avvezzo al fai da te, lo avrà utilizzato per realizzare dei lavoretti, per Natale ad esempio.

Il feltro, inoltre, è legato anche ad una leggenda secondo cui la sua invenzione sarebbe da attribuire a San Giacomo Apostolo le cui piante dei piedi risentivano dei lunghi spostamenti richiesti dall’opera di predicazione. Egli allora, per risolvere questo problema, imbottì i sandali con i batuffoli di lana lasciati dalle pecore, durante il pascolo, attaccati ai cespugli spinosi e, ben presto, si rese conto che lo strato di lana pressato dai suoi piedi e inevitabilmente bagnato dal suo sudore indurendosi si trasformava in una falda compatta, da qui l’origine del feltro.

C’è un artista, invece, che al feltro attribuisce un significato ben più profondo, il suo nome è Joseph Beuys.

Durante la Seconda Guerra Mondiale l’artista tedesco fu reclutato come aviere ma ebbe un incidente, cadde dall’apparecchio e si salvò solo grazie ad un gruppo di nomadi che lo trovò e lo curò seguendo una sapienza antica: cosparse il corpo di Beuys, ormai semicongelato, con del grasso e lo avvolse in coperte di feltro. Da allora il feltro per lui divenne una sorta di simbolo di salvezza, oltre ad essere il materiale del suo cappello che è un po’ un segno di riconoscimento dell’artista.

Beuys elaborò una concezione dell’arte come salvezza non solo personale ma collettiva, e per le sue opere oltre ai due elementi che gli salvarono la vita, il feltro e il grasso, utilizzò anche l’oro, il miele e il rame, che erano testimonianza della preziosità della natura.

L’artista considerava opere non solo gli oggetti ma anche le performance e a tal proposito ricordiamo I like America and America likes me del 1974, durante la quale si fece chiudere per giorni in una gabbia insieme ad un coyote, che coraggio! Ma secondo voi, cosa ha usato per proteggersi? Solo un panno di feltro! Beuys attese che fra lui e l’animale si instaurasse una reciproca confidenza e per farlo si ispirò a San Francesco, il perché possiamo dedurlo da soli.

Pesce d’aprile!

Vi è capitato di essere vittime di un pesce d’aprile? Beh tenete gli occhi ben aperti perché oggi qualcuno potrebbe decidere di farvi qualche scherzetto, la giornata non è ancora finita!

Ma quali sono le origini del pesce d’aprile? Scopriamolo insieme.

In realtà esse non sono certe anche se, negli anni, sono state proposte diverse teorie e una tra quelle più accreditate colloca la nascita di questa tradizione nella Francia del XVI secolo.

Prima del 1582, anno dell’adozione del Calendario Gregoriano, si festeggiava il capodanno tra il 25 marzo e il 1 aprile. Ma non tutti sono pronti ad abbandonare le vecchie tradizioni, tanto che la leggenda vuole che molti, o perché contrari al cambiamento o semplicemente perché sbadati, continuarono a scambiarsi gli auguri in questi giorni e, si sa, i burloni sono sempre dietro l’angolo, potevano dunque non cogliere l’occasione per sbeffeggiare i “tradizionalisti”? Iniziarono, infatti, ad inviare loro regali assurdi o anche scatole con all’interno un semplice bigliettino con su scritto “poisson d’avril”, ovvero pesce d’aprile.

Ma perché scegliere proprio questo animale? I pesci sono soliti abboccare facilmente all’amo e le vittime degli scherzi “abboccano” facilmente alla presa in giro … il paragone non poteva essere più calzante!

Secondo altri, invece, il primo scherzo risalirebbe addirittura all’epoca di Marco Antonio e Cleopatra. Pare che la regina egizia si sia presa gioco dell’uomo durante una gara di pesca che quest’ultimo voleva a tutti i costi vincere, tanto da barare, come? Facendo attaccare al suo amo un grande pesce. Cleopatra, pur di non concedergli la vittoria, fece sostituire l’animale con uno di dimensioni inferiori.

Ciò che è certo è che sono davvero tanti gli scherzi fatti nel corso della storia, alcuni banali altri talmente ben architettati da far cadere in trappola migliaia di persone.

Era il 1957 quando la BBC mandò in onda un documentario su una scoperta davvero interessante, quella dell’albero degli spaghetti e, ovviamente, quell’anno il raccolto era stato davvero fruttuoso. A noi, oggi, verrebbe da ridere, la pasta sugli alberi? Chi può mai ritenere vera una bufala del genere? Eppure pare che i centralinisti della BBC si trovarono a rispondere a migliaia di telefonate di persone che chiedevano dove poter procurare queste piante.

Il 1 aprile 1972, invece, in molti provarono l’ebbrezza di “galleggiare” nell’aria. Durante un’intervista, trasmessa dalla BBC Radio 2, l’astronomo Patrick Moore annunciò un evento eccezionale: alle 9:47 il pianeta Plutone si sarebbe allineato con Giove influenzando la gravità terrestre. Come testarlo? Beh bastava saltare in quel preciso momento per poter avvertire una strana sensazione di leggerezza. Allora cosa fai se senti una cosa del genere? Non provi? E, infatti, molte persone lo hanno fatto e subito dopo hanno chiamato in radio … probabilmente erano un po’ adirati, ci verrebbe da pensare, e invece no! Erano impazienti di raccontare la loro esperienza, davvero convinti di aver avvertito quella sensazione inusuale.

Sempre la BBC (a quanto pare sono dei veri burloni) nel 2008, in uno dei suoi documentari, annunciò un’altra incredibile scoperta: esistono dei pinguini capaci di volare, un vero miracolo dell’evoluzione! Un vero colpo di fortuna averlo scoperto e esser riusciti a riprendere i simpatici animali nel momento esatto in cui spiccano il volo, davvero affascinante … se solo fosse vero!

Che dire? Di esempi da fare ce ne sarebbero ancora tanti: c’è chi, in Italia, ha fatto credere, nel 1961, che bisognava apporre dietro ai cavalli una targa a mo’ di auto; chi ha annunciato il ritrovamento del cadavere del temutissimo mostro di Loch Ness; nel 1998 il BurgerKing ha acquistato un’intera pagina di un quotidiano per pubblicizzare un nuovo panino pensato appositamente per i mancini, più facile per loro da gustare in tutta tranquillità.

 E poi c’è lo scherzo classico, banale, ma che non passa mai di moda: attaccare un pesce di carta sulla schiena del primo che capita a tiro, o perché no? Un bigliettino con una frase “simpatica”. Quindi oggi guardatevi le spalle … tranquilli, NON è una minaccia 😉