Il tè è servito!

Meret Oppenheim, Object (Déjeuner en fourrure), 1936. MoMa, New York.

Forse il periodo non è dei più indicati, e il caldo ci terrà ancora un po’ compagnia, ma immaginiamo per un attimo di essere già in autunno, quando le serate estive sono ormai solo un dolce ricordo e l’odore di mare e salsedine è svanito da un po’. Il vento che bussa dolcemente alle finestre delle nostre case torna ad essere un ospite fisso e le foglie iniziano ad adagiarsi sui cortili e ai bordi delle strade, è proprio in pomeriggi come quelli che una buona tazza di tè caldo, un bel libro e delle candele accese profumate, sono in grado di creare una magica atmosfera.

Bere il “tè delle cinque” è ormai un qualcosa non più solo british, a me, ad esempio, piace farmi coccolare da una tazza di tè caldo soprattutto nei pomeriggi invernali quando fuori il tempo non è dei migliori, ma da dove nasce questa tradizione?

L’usanza di bere il tè delle cinque possiamo farla risalire al lontano 1800, quando in Inghilterra era abitudine fare solo due pasti al giorno, colazione e cena. Si narra che la Duchessa di Bedford, Anne, amica della regina Victoria, durante l’intervallo lungo tra la colazione e la cena (all’incirca verso le 20:00) avvertisse sempre un buco allo stomaco, un languorino (come biasimarla!) e decise di iniziare a bere del tè accompagnato da qualche spuntino: pane e burro, dolci, … da allora iniziò ad invitare alcuni amici a prendere il tè insieme, e tornata a Londra continuò a farlo. Anche la Regina Victoria iniziò ad organizzare degli Afternoon Tea, che ben presto diventarono un’usanza diffusa nell’alta società. 

Oggi il tè delle cinque non è più vissuto come un “evento quotidiano”, ma quando pensiamo al tè del pomeriggio, probabilmente, immaginiamo che venga servito in eleganti tazzine in fine porcellana bianca decorata, io, però, ho voglia di presentarvi una tazzina da tè diversa, ricoperta di un materiale del tutto particolare e, me ne rendo conto, non di certo adatto all’uso di cui stiamo parlando: la pelliccia.

Nel 1936 Meret Oppenheim decise di ricoprire una tazzina, con piattino e cucchiaino annessi, di pelliccia di gazzella, creando così una scultura particolare, “surreale”. L’idea venne all’artista mentre si trovava al Cafè de Flore a Parigi, in compagnia di Pablo Picasso e la fotografa Dora Maar. La Oppenheim indossava uno dei bracciali ricoperti di pelliccia che realizzava in quegli anni, Picasso osservò che quel materiale poteva in realtà coprire qualsiasi cosa e Meret controbatté dicendo: “Anche questa tazza con piattino”, è così, quasi per gioco, che prese vita la scultura simbolo del surrealismo.

Ora immaginate di avvicinare le labbra al bordo della tazza, di cercare di bere del tè che è ormai stato per gran parte assorbito dalla pelliccia sul fondo, di zuccherare la vostra bevanda servendovi di un cucchiaino anch’esso ricoperto con lo stesso materiale, beh non ne siamo per nulla ispirati, è un’idea lontana dall’essere allettante. Servire del tè in una tazza del genere è quantomeno irrazionale ed è giusto che sia così, non potremmo aspettarci qualcosa di diverso da un oggetto simbolo del Surrealismo. La razionalità, infatti, lascia il posto all’irrazionalità, tutto ciò che è logico, che è imbrigliato in schemi prestabiliti viene meno,  si hanno, dunque, oggetti che vengono spogliati e allontanati dalla funzione per cui erano stati pensati originariamente, che non solo perdono, ma contraddicono, in modo paradossale, il loro normale uso,  è così che con una tazza da tè diventa impossibile bere del tè.

Con il Surrealismo “ ci si propone di esprimere […] il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”, così come scrive André Breton nel Primo Manifesto del Surrealismo del 1924.  Lo stesso Breton ha dato il titolo all’opera della Oppenheim, chiamata inizialmente semplicemente “Object”, e poi ribattezzata “Déjeuner en fourrure”, Colazione in pelliccia,  titolo che fa riferimento al “Déjeuner sur l’herbe” di Manet.

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