Occhi grandi

C’è un’arte conosciuta come “settima arte”, il Cinema. Prima del suo avvento le Arti erano sei, arti le cui origini si perdono nella notte dei tempi e che nel 1895, grazie ai fratelli Lumière, hanno dato il benvenuto a questa sorella minore (solo per età s’intende) dall’indiscutibile fascino.

Diverse volte il Cinema ha ospitato sul grande schermo storie legate ad altri tipi di arte, tra cui la terza: la pittura, e a tal proposito oggi voglio parlarvi di un film del 2014, “Big Eyes”, tratto dalla vera storia di Margaret Keane.

Il noto regista Tim Burton in questa sua pellicola ha voluto dar voce alla storia dell’artista americana nata Peggy Doris Hawkins e nota al pubblico come Margaret Keane, i cui soggetti delle sue opere sono perlopiù donne, bambini e anche animali dagli inconfondibili occhi grandi, magnetici, la parte più espressiva di un volto, non a caso ritenuti da sempre lo specchio dell’anima essendo probabilmente la parte del corpo che più di ogni altra tradisce le emozioni. Gli occhi non mentono, diversamente dal marito della Keane, Walter, che per un decennio ha fatto passare per sue le opere della moglie, forte del fatto che fossero firmate semplicemente “KEANE” cognome che Margaret ha acquisito proprio da lui.

Ma procediamo con ordine.

In poco meno di due ore “Big Eyes”, prendendoci per mano, ci accompagna nella storia di una donna forte che non ha paura di lasciare il suo primo marito, a dispetto delle regole imposte dalla società del tempo (siamo alla fine degli anni ’50), e trasferirsi a San Francisco con la figlia Jane. Margaret ha sempre avuto una vena artistica, fin da bambina. È una pittrice dal talento indubbio ma che fatica a trovare un’occupazione e per arrotondare si affida alla sua più grande passione, la pittura appunto, e realizza ritratti per le strade della città. Un giorno incontra Walter, anch’egli artista o, meglio dire, aspirante tale. L’uomo è attratto dalla donna e, ovviamente, anche dal suo talento, e ben presto iniziano una relazione che li porterà al matrimonio, proposto dall’uomo come soluzione al fatto che il padre di Jane avesse chiesto la custodia esclusiva della figlia. I primi tempi il matrimonio prosegue per il meglio, ma quasi mai la vera vita è paragonabile ad una fiaba, e i giochi di seduzione tipici della fase dell’innamoramento si trasformano in giochi di bugie e quel sentimento che per natura dovrebbe essere fatto solo di toni dolci e pacati alza la voce.

Keane riesce a far esporre le sue opere e quelle della moglie in un locale e, come era prevedibile, il talento della donna non passa inosservato, a differenza delle sue opere, tanto che quando all’uomo si presenta l’occasione di far passare quei ritratti dagli occhi grandi come sue creazioni la coglie subito, commettendo un vero e proprio furto di identità che andrà avanti per molto tempo prima che la moglie trovi il coraggio di ribellarsi.

Credo che un quadro non sia una mera esecuzione, nel dipinto la mano dell’artista è solo un mezzo mosso in realtà da qualcosa di più grande, da sentimenti profondi. Dipingere non è un semplice gioco di linee, è mettere a nudo la propria anima e lasciarsi trasportare dai moti del cuore, è esprimere tutto ciò che si ha dentro, e quindi, a mio avviso, impossessandosi delle opere della moglie, Keane l’ha colpita nella sua intimità!

Margaret, alla fine, si serve della radio per far sapere a tutti la verità e successivamente denuncia il marito per diffamazione. Walter poteva essere anche un abile paroliere, capace di abbindolare il prossimo, ma quando nell’aula del tribunale il giudice ordina ad entrambi di dipingere un bambino dagli inconfondibili occhi grandi, egli si rifiuta mentre Margaret dà naturalmente vita ad un’altra sua opera!

La verità viene sempre a galla e il talento non mente mai!

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